domenica 21 dicembre 2014

Eutanasia, la facciamo finita?

Eutanasia, la facciamo finita?


Oggi vagavo tra canali televisivi demenziali e pseudo-seri quando ad un tratto ho sentiti un nome: Jack Kevorkian. Meglio noto come "Dottor Morte" fu paladino dell'eutanasia aiutando non meno di un centinaio di malati terminali a morire senza troppa sofferenza. Da sottolineare però che Kevorkian non era un sostenitore del suicidio assistito ma bensì di chi, nel pieno delle sue facoltà mentali, decidesse di porre fine alla propria vita. Pare che la storia abbia inizio nel lontano 1982, quando Kevorkian aveva 54 anni, ma che iniziò ad attirare attenzione soltanto otto anni dopo quando aiutò un paziente affetto da Alzheimer a togliersi la vita. Passarono ancora sei anni e decine di suicidi prima che lo stato del Michigan (dove avvennero i fatti) riuscì ad imprigionare il dottor morte con l'accusa di aver assistito il suicidio di alcuni pazienti e volontariamente e consciamente fornito gli strumenti ad altri per commettere suicidio. Svariate le entrate e uscite dal carcere durante gli anni per poi morire nel 2011 senza essere assistito da nessuno. La storia del dottor morte è stata raccontata anche in un film, uscito nelle sale nel 2010, chiamato "You don't know jack" che vede Al Pacino nei panni di Kevorkian. Se volete cercarlo in italia viene tradotto in "You don't know jack - Il dottor morte". 

Nel mondo la questione è sempre stata delicata ed in Italia, grazie alla presenza del Vaticano, lo è ancora di più. Se n'è parlato ancora poco meno di due mesi fa, quando una 29enne americana si è tolta la vita dopo la diagnosi di un tumore incurabile al cervello, e proprio in questa occasione "l'entità chiesa" ha espresso forte disappunto condannando il suicidio come terribile peccato. Questa ragazza ha avuto la forza di togliersi la vita quando ancora aveva la testa per farlo ma non tutti sono così "fortunati": vediamo un caso Englaro, Baravaglio o Welby...costretti a letto come vegetali, obbligati a vivere da una società che non contempla il termine dell'accanimento terapeutico. Allora che scelta abbiamo? Se possiamo scegliere come vivere (più o meno...) non possiamo anche scegliere come morire? Non ne abbiamo il diritto? Credo che un malato arrivi a chiedere l'eutanasia perché non vuole morire lentamente, nessuno vorrebbe prolungare consapevolmente il proprio dolore, e allora perché non concederla?

Qui trovate un breve e sorprendentemente lucido video nel quale Brittany Maynard, la ragazza americana sopra citata, racconta la sua situazione, il video è in inglese ma anche se non lo parlate troppo bene si capisce dai.


Con maggior fatica ma restando sul pezzo vorrei farvi notare che in Italia vi sono circa 4.000 suicidi all'anno dei quali una buona percentuale è dovuta certamente alla crisi economica ma soltanto una fetta: nel 2006/2007 sono state 3.600 le persone che si sono tolte la vita. Togliamo il dito dalla crisi dunque, spostiamolo da qualche altra parte...ma dove? Al disagio sociale? A problemi psichici? Alla depressione? Come vedete in questa triste tabella (scaricabile sul sito web www.istat.it) l'Italia rimane uno dei paesi europei con il tasso di suicidi più basso, se ci fidiamo delle statistiche. Questo comunque non mi interessa troppo, quello che vorrei domandarvi è questo: se una persona ha una malattia terminale è giusto il suicidio assistito? E se una persona non è ammalata, ha un fisico perfettamente sano, ma non trova un senso alla sua vita e vorrebbe farla finita?

Con questo vi saluto, ancora una volta, in sella alla mia bicicletta.

Charlie Capotorto

© Riproduzione riservata


Nessun commento:

Posta un commento